IL CORRIERE
NUMERO 4423
Questo è il numero 4423, e simbolicamente il primo della nuova serie, del Corriere di Trieste, il celebre quotidiano indipendente di Carolus Cergoly, di Fabio Cusin, di Carlo Belihar, di Bruno Pincherle, Josip e Branko Agneletto, e di tante altre delle personalità illustri più oneste, degne e coraggiose della cultura, del-l’economia, della politica e dell’arte di questa città speciale, nata e cresciuta dall’incontro marinaro fra il Mediterraneo la Mitteleuropa, gli Orienti e le Americhe.
Il nostro numero precedente è uscito domenica 15 novembre 1959, quando l’editore venne costretto a sospendere le pubblicazioni, dopo lunghi anni di sacrifici e successi, dalla prepotenza di chi voleva spartire la città e il porto franco di Trieste – dopo 500 anni di autonomia austriaca sino al 1918, e 12 di Stato indipendente dal 1947 – fra i due Paesi confinanti appena restaurati, Italia e Jugoslavia.
Con quel blocco improvviso del Corriere tutto il pensiero libero e produttivo della Trieste culturale, economica, politica ed artistica indipendente perdeva infatti la sua voce chiara e forte, ammutolita dal 1918 e ritrovata dal giugno 1945 proprio con questo giornale libero.
Farlo tacere consentì di ridurre nuova- mente al silenzio le energie creative migliori di Trieste, per sopraffarle e sottometterle ad una dominazione invadente ed incontrastata di propagande e corruzioni di stato, di partito e di interessi ostili, che ha devastato i tessuti economici, sociali e morali della città.
Trieste ne è rimasta costretta entro una sorta di tempo e luogo sospesi, una bolla psicologica e pratica nel mondo del presente, che progredisce dinamico ed inesorabile attorno ad una città che affonda invece ancora in sonni della ragione drogati da condizionamenti e poteri negativi ormai anch’essi anacronistici.
È arrivata l’ora di svegliarci, se non vogliamo annegare. E qui accanto spieghiamo perché questo risveglio ha bisogno assoluto di un vero giornale della città per ripristinare la libera circolazione creativa delle capacità e delle idee, azzerando il tempo perduto come fa chi si desta da un lungo periodo di animazione sospesa.
Quel giorno di novembre del 1959 va perciò considerato come fosse ieri, riavviando il giornale nel presente e per il futuro senza perder più tempo a lamentare il passato, e riprendendo subito a dare voce alla società ed all’economia, invece che alle botteghe politiche. Perché questa è anche la chiave per riavviare Trieste.
Aiutiamoci dunque tutti ad azionarla bene, e prima possibile, anche nel simbolo di questa nuova pubblicazione il giorno dell’equinozio di primavera.
Paolo G. Parovel
Il Corriere di Trieste è stato e può ridiventare il solo quo-tidiano indipendente nella storia moderna della città, anche se proprio per questo ha subìto nel tempo attacchi e calunnie di ogni tipo e da ogni fazione, cui non ha potuto ri-spondere da decenni per il silenzio che gli fu ad un certo punto imposto.
Ma adesso finalmente pos-siamo farlo.
L’indipendenza del Corriere si è comunque sempre ma-nifestata nei fatti: dallo spirito di verità e sacrificio senza interessi venali dei redattori, alla pluralità ed autorevolezza delle voci, alla libertà delle idee, al coraggio di combattere per la legalità e per il benes-sere della gente, in una situa-zione che nel dopo guerra mondiale non poteva essere più tesa e difficile.
Lo studio della collezione della prima serie del giornale, dal 1945 al 1959, ne conferma inoltre il taglio europeo ed internazionale coerente al ruo-lo ed allo spirito cosmopoliti di Trieste, e radicalmente diverso dallo stile informativo fazioso, vuoto e pettegolo cui ci ha invece abituati la quasi totalità della stampa italiana, pure in peggioramento continuo sino ai livelli nazionali e locali infimi di oggi.
Un vero quotidiano non può essere infatti una macchina di chiacchiere e di intrallazzi per manipolare la gente guada-gnandoci, sparando in prima pagina i teatrini politici invece che i problemi veri delle per-sone, dell’economia e del so-ciale, contando di vendere egualmente con il trattamento morboso della cronaca nera e con gli annunci e necrologi.
E non può essere un pacco di carta giornaliero con quasi nul-la di utile da leggere, riempito di pubblicità e di notizie gon-fiate in assoluto disordine di contenuti, di gerarchie d’im-portanza e di coerenza delle idee, in odio alla grammatica, senza ombra di etica e senza più distinzione fra notizia e commento.
Un quotidiano vero è tutt’altra cosa: uno strumento semplice, chiaro ed essenziale di scambio delle idee in entrata ed in uscita, con feedback che serve a regolare ed equilibrare naturalmente ed al meglio lo sviluppo culturale, economico e sociale di una collettività.
Un quotidiano vero è tutt’altra cosa: uno strumento semplice, chiaro ed essenziale di scam-bio delle idee in entrata ed in uscita, con feedback che serve a regolare ed equilibrare naturalmente ed al meglio lo sviluppo culturale, economico e sociale di una collettività.
E questo nel rispetto delle opinioni e delle parti, ma assegnando voce e spazio prevalenti alle necessità ed al pensiero dei cittadini e di tutte le categorie economiche pro-duttive: i lavoratori autonomi dall’industriale all’artigiano ed al commerciante, al profes-sionista ed i lavoratori dipen-denti dal dirigente all’operaio.
Dare invece, come fa anche a Trieste la stampa ora corrente, spazio prioritario ai politici non per quanto si guadagnino meriti operando bene, ma in funzione del peso delle fazioni dirette o trasversali che rap-presentano, o della stra-vaganza di ciò che dicono, ottiene soltanto di consegnare e mantenere la collettività in mano a persone che nel migliore dei casi sono sem-plicemente inadeguate a go-vernarla a qualsiasi livello.
E non occorre che facciamo nomi.
Mentre nel caso peggiore si trasformano in una truppa di locuste della democrazia che divorano tutto quello che trovano senza produrre nulla, e lasciano dietro di sé il deserto. Con la differenza che le locuste vere migrano, mentre queste rimangono qui stabili ed inamovibili.
Ed un giornale vero serve anche a rimuoverle, ma fuori da manovre di parte e col semplice criterio onesto e funzionale del premiare chi-unque faccia bene, e denun-ciare chiunque faccia male.
Un giornale vero serve, insom-ma, ad aiutare a crescere ed esprimersi una società sempre più sana invece che sempre più malata.
E dev’esserne la cura, non la malattìa.
A Trieste dopo la chiusura forzata del Corriere non solo non abbiamo più avuto un giornale vero in questo senso, ma il monopolio così mal conquistato dei quotidiani di parte, italiano e sloveno cui siamo stati ridotti è stato utilizzato per trascinare la città moralmente e materialmente sempre più a fondo in patologie culturali ed econo-miche sempre più degradanti.
Potremmo scriverne impietosa-mente pagine intere, ma non è nemmeno necessario perché la qualità di quei giornali è sotto gli occhi di tutti, ed a differenza radicale da chi li edita noi confidiamo nella dignità e libera intelligenza dei lettori.
Questo primo numero di nuova serie del Corriere di Trieste non può essere ovviamente ancora il quotidiano in uscita regolare. Ma ne è un invito chiaro, sulla base certa della proprietà della testata e della chiarezza delle idee e dell’im-pegno per restituire alla città il suo quotidiano indipendente.
Con una tradizione onorevole per il passato, ma con forme, concetti e strumenti moderni, secondo modelli d’infor-mazione europei ed interna-zionali così come interna-zionale ed europea deve riconoscersi Trieste se vuole ritrovare la propria identità, i propri ruoli naturali e la possibilità di lavorare e progredire davvero.
Noi facciamo già con la Voce di Trieste, come vedete, tutto il possibile.
Ma il risultato, e la rinascita stessa del quotidiano indipen-dente di Trieste e per Trieste dipendono dal consenso e dall’impegno possibile di ognuno di voi.
P.G.P.
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